Fiere: questione di strategia

pubblicato il 29 08 2012

La fiera non è la soluzione promo-commerciale più economica. I costi di partecipazione sono alti, quelli per contatto non sono convenienti, se rapportati ad altri mezzi quali le in-store promotion, e occorre sommarvi pure i costi-opportunità, dovuti al personale qualificato che durante i giorni di esposizione viene sottratto alle normali attività aziendali.

A tutto ciò si aggiunga che in determinati settori, quali l’automotive e la meccanica, la partecipazione comporta un notevole immobilizzo di capitali, in ragione dei prodotti esposti, e che non esistono metodi esatti e condivisi per quantificare il Roi (Return on investment). Una rapida stima dei costi rafforza i sospetti sulla convenienza: uno stand di 600 mq presso la principale fiera tedesca di macchine utensili costa 140mila euro, cui vanno aggiunti circa 150mila euro di allestimento, 10mila di grafica, 25mila di servizi e suppergiù 220mila fra hostess, cuoco, costi personale, conferenze stampa, reportage fotografico, fiori, arredi ecc. In totale, 500mila euro. Un miliardo delle vecchie lire. Vale la pena?

La risposta è sì, ove si riesca ad agire sulle prime due voci, cioè la metratura e l’allestimento. Ma per farlo occorre partire da lontano, con lo sviluppo e la gestione del progetto fieristico nella sua interezza, cominciando proprio dagli inizi, ossia dallo studio di fattibilità e dal preventivo dei contatti.

La preparazione

Il primo step consiste nell’identificare e localizzare le fiere del settore. Nel mondo globale in cui viviamo, esse sono ormai numerose e internazionalizzate. Quest’abbondanza di offerta va vagliata attraverso informazioni verificabili grazie all’esperienza di colleghi e competitor. In generale, a parità di valore, è meglio optare per manifestazioni geograficamente vicine, così da tagliare quantomeno sui costi di trasferta.

Un sopralluogo fornirà un primo riscontro sull’ampiezza dei padiglioni, sulla lontananza e sull’accessibilità del quartiere fieristico nonché sui tempi di percorrenza dalla sede dell’impresa o dalle strutture d’appoggio. La decisione finale terrà conto anche degli eventi collaterali – che ogni partecipante deve prevedere per agevolare il networking – e della combinazione di tutte queste informazioni con i criteri espositivi dell’azienda: una sorta di “serie storica” che racchiuda tutti  dati essenziali degli eventi cui si è partecipato (metratura stand, costi, contatti, lead avviati ecc) e li incroci con una stima dei risultati attesi.

La gestione

Deciso l’investimento, occorre trattare la manifestazione come se fosse un progetto. Bisogna quindi dedicarvi un team di persone e di società, interne ed esterne, cui attribuire un lungo elenco di compiti e responsabilità. Il team deve includere professionisti provenienti da settori più svariati: 1) il marketing, perché alla manifestazione va associata una precisa strategia promozionale; 2) le vendite, in funzione della necessità di massimizzare i ricavi; 3) il magazzino, per il trasporto e il ritiro dei prodotti; 4) l’assistenza tecnica, soprattutto se lo stand richiede un forte impiego di strumentazione light & sound; 5) organizzazioni esterne quali agenzie di pubblicità, allestitori, catering ecc, ovviamente in funzione della ricchezza che si vuol dare all’area espositiva.

Creato il team si dovrà: stabilirne il comando nominando un capo progetto; decidere e concordare gli obiettivi, le deadline e il budget; suddividere il progetto in una serie di attività gestibili in autonomia; definire la metodologia per la circolazione delle informazioni e l’avanzamento delle attività; decidere sulla progressione dei lavori, sulle date critiche di consegna materiale e sul programma delle riunioni.

Il lettore si sarà già accorto di come, con un approccio così ricco e complesso, che tiene conto in primis delle esigenze di marketing e solo in quint’ordine dell’allestimento in senso stretto, il pregiudizio secondo cui il successo di un investimento fieristico è direttamente proporzionale alla metratura dello stand sia appunto solo un pregiudizio.

Il concept

Non è insomma questione di area. L’esposizione va concepita come uno spettacolo, non necessariamente grande né lungo, ma sempre intenso, da replicare decine di volte nella giornata di fiera. Il tempo che i clienti dedicano alla visita di uno stand varia di settore in settore si passa dal “mordi e fuggi” per fiere ad alto contenuto leisure, come quelle turistiche, alla mezz’ora delle rassegne più professionistiche. In tutti i casi, comunque, il tempo dei buyer è prezioso, e l’azienda espositrice deve partire dal presupposto di averne pochissimo. Per raggiungere l’effetto deve far funzionare tutto alla perfezione, in virtù di una rigorosa organizzazione dei dettagli. Di più: poiché lo stand è estensione dell’azienda, della sua filosofia e dei suoi valori di base, va curato moltissimo e adattato alla globalità dell’immagine corporate. E pur essendo meglio sacrificare l’estetica alla praticità, l’insieme deve sempre lasciare una buona impressione dell’azienda sui visitatori e sui clienti.

Il successo – fatta salva la strategia di comunicazione che ha preceduto e preparato l’apertura dei padiglioni – dipende dunque da una serie di elementi che con la metratura non hanno nulla a che fare: 1) la posizione (vicino alle entrate, alle uscite o ai corridoi centrali); 2) lo stile dello stand, che può essere chiuso o aperto sui quattro lati; 3) la cura dei prodotti, da esporre in perfetta condizione e sotto illuminazione dedicata; 4) la grafica, cui giovano idee originali e cromatismi forti in grado di attrarre i visitatori; 5) le proiezioni di video o dimostrazioni accanto a grandi schermi, e altri atout tecnologici quali computer collegati a Internet e presentazioni multimediali; 6) la preparazione e la qualificazione del personale; 7) l’impiego di nuovi media.

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