pubblicato il 01 06 2012
Convegni e congressi medico-scientifici sono da molti anni “prigionieri” della normativa ECM, che, nell’intento di preservarne l’etica e di tutelarne la finalità formativa, li inquadra entro precisi e classicissimi format didattici. Difficile, se non impossibile, uscirne. Sino alla fine degli anni Novanta gli eventi rivolti al personale sanitario erano anch’essi terreno di sperimentazioni, magari a rischio di cadute di gusto e di efficacia e tuttavia sempre ad ampio valore aggiunto di creatività. La domanda è: oggi ha senso uscire dal format? E conviene farlo, economicamente parlando?
Due considerazioni
La prima considerazione è che “uscire dal format” significa “uscire dalla ECM”. Occorre dunque stare attenti, anche se la maggioranza dei convegni è ormai accreditata solo in parte, per cui anche nel più ingessato dei simposi si offrono spazi alla sperimentazione creativa.
Spazi che, però, ben raramente vengono utilizzati. E qui interviene la seconda considerazione. Indubbiamente la comunità scientifica, spesso elitaria, s’è creata nel tempo un profilo distaccato se non inarrivabile, mostrandosi poco dedita a comunicare su livelli accessibili. Forse è ora di restituire alla scienza un ruolo meno marziano e maggiormente legato alla vita, alle passioni, alla fantasia: se ci si lancia sul percorso dell’innovazione si scopre che sono le idee la vera ricchezza.
Ben venga allora la comunicazione scientifica “destrutturata”, in grado di informare divertendo, di farsi ricordare con un sorriso.Ma qual è la chiave da proporre a colpo sicuro ad ambo le parti in causa, cioè da un lato alle rigorose società scientifiche e dall’altro alle aziende sponsor, timorose – giustamente – di finanziare un evento che potrebbe rivelarsi un bluff?
La soluzione
La chiave è una sola: si chiama metafora.
Negli ultimi tempi si sta scoprendo che gli aspetti metaforici e non esplicitabili del linguaggio sono essenziali per comprendere la dinamica dei cambiamenti concettuali nella scienza. È diventato sempre più evidente che i princìpi della scienza non sono astrazioni dalla realtà immediata, bensì un sistema di simboli generato dall’immaginazione creativa dello scienziato e mediato da linguaggi ricchi di connotazioni metaforiche.
La divulgazione scientifica fa grande uso, e spesso abuso, di metafore, stretta com’è fra le problematiche scientifiche sempre più lontane dall’esperienza quotidiana e il generale analfabetismo scientifico dei destinatari della comunicazione. Il problema principale è che tali metafore non portano con sé una chiara demarcazione delle aree della loro legittimità: possono essere strumenti efficaci per gli scienziati, ma fonti di errori per gli studenti e il pubblico.
Tuttavia nella fattispecie di cui parliamo – quella dei congressi destinati a un pubblico di specialisti – questo rischio ipso factonon c’è. Basta evitare metafore nella spiegazione di teorie che già consentono formulazioni non metaforiche del tutto adeguate (perché in questi casi le metafore suggeriscono troppo poco od offrono una percezione insufficiente a livello teorico) e il gioco è fatto.
Quando, molti anni fa, il presidente di un convegno di cardiologia entrò in plenaria ballando un appassionato tango con una sconosciuta e bellissima ragazza che poi presentò come co-presidente dei lavori (era una facilitatrice), o quando, sempre a un simposio di cardiologi, per sviluppare pensieri nuovi sulle modalità di utilizzo dei peace-maker si convocò un percussionista il quale portò strumenti per tutti i partecipanti invitando a “rompere il ghiaccio” dandoci dentro a ritmo di rumba, ecco, in nessuno di questi due casi si è fatto uno strappo alle regole della scienza. Semmai le si è sublimate, trasferendo la comunicazione, in una sorta di “pensiero laterale”, da un piano oggettivo a un piano soggettivo. Il cuore, attraverso appunto la metafora del coinvolgimento emotivo (danzatrice) o del battito dei tamburi, diveniva soggetto attivo del parlato, non più oggetto punto e basta. Era come se fosse lui, il cuore stesso, con i ventricoli e le arterie e le vene, a prendere la parola e a illustrare i suoi segreti.
Proprio per questo l’efficacia fu garantita. Funziona un po’ come quando si parla delle persone. Chi è più titolato a parlare di noi, se non noi stessi?
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