pubblicato il 20 12 2012
In tanti settori, soprattutto in quello turistico, il workshop costituisce uno dei momenti principali d’incontro fra domanda e offerta. La fortuna del workshop come mezzo commerciale nasce da un mercato alla continua ricerca di novità, cui fa riscontro una grande frammentarietà dell’offerta, che soprattutto per i servizi a sfondo turistico è sparsa lungo l’intera penisola, nascosta talora in borghi antichi, inadatti a essere presentati in un contesto dispersivo come quello di una grande fiera.
Ma come avviene questo incontro? Come lo si imposta? A quali regole deve obbedire per garantire un certo ritorno?
I punti di forza
Per rispondere a queste domande occorre partire da lontano. La vera differenza tra un workshop e una fiera infatti, a parte il dato quantitativo, sta nel fatto che gli espositori del primo sono accomunati da un brand o da una caratteristica di marca: catene alberghiere, network di agenzie viaggi, associazioni ecc. E i brand sono costituiti in egual misura dai processi organizzativi e dalle persone che ci lavorano. Da ciò si evince che la funzione esclusiva e fondamentale di face-to-face cui i sales account danno vita durante un workshop è il primo punto di forza del medesimo.
Altrettanto importanti sono i partner di filiera. Chiunque venda attraverso broker, distributori o dettaglianti affida loro le proprie “promesse di brand”, assumendosene rischi e oneri. Da qui, il secondo punto di forza di un workshop: a rappresentare l’offerta si invitano solo i venditori migliori per ciascuna branca, sapendo in anticipo con quali segmenti di domanda s’incontreranno.
Aver cura di questi due atout strategici significa predisporre nel migliore dei modi qualsiasi incontro con l’offerta, sia esso strutturato come workshop o anche estemporaneo. Significa persino alimentare il flusso di clienti, che a questo punto non si limiteranno ad acquistare il prodotto ma pure richiameranno nuovi compratori, i quali poi ne influenzeranno di ulteriori e così via.
L’interazione
Il sostegno a un brand può passare anche per una collaborazione con un altro brand, a livello di comunicazione, motivazione, ricerca mirata di consumatori. I brand possono anche essere coinvolti in co-promozioni, ossia in incentivi all’acquisto nei quali due o più organizzazioni fanno leva sulla notorietà e sull’autorevolezza dei rispettivi marchi per trarne mutuo beneficio. Sono attività che possono includere i cosiddetti “programmi di affinità”, cioè sconti offerti da un brand ai consumatori dell’altro, oppure loyalty program incrociati, in cui ciascun marchio premia gli acquirenti del brand partner.
Ma molte aziende vanno oltre e spingono il proprio brand attraverso i cosiddetti “prodotti promozionali”, i quali, opportunamente selezionati, possono far decollare una marca, inglobandola nella vita e nella quotidianità di molti.
Conclusioni
La morale da trarre è che il brand ha la forza per reggere un evento di comunicazione face-to-face solo a valle di queste operazioni. Come dire che i soldi investiti in pubblicità e fiere classiche prima, e in direct marketing e formazione della rete vendita poi, confluiscono idealmente in quel potentissimo veicolo di posizionamento commerciale che è il workshop.
Workshop sì, dunque, col previo sostegno di un lavoro sulla marca.
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