pubblicato il 15 11 2013
Cisalpina Research presenta i risultati de “Il mondo corporate: sfide, tendenze, linguaggi, aspettative nella gestione degli eventi e dei congressi”, una nuova ricerca, realizzata in collaborazione con MPI Italia Chapter, che mette in luce nuove sfide, tendenze e criticità del mondo degli eventi corporate italiani, attraverso le valutazioni dei professionisti del settore.
Non si tratta solo dei consueti vincoli di budget, che rimangono il principale avversario secondo il 41% dei planner intervistati; dalla survey emerge, innanzitutto, una forte esigenza di aggiornare una cultura aziendale troppo spesso conservativa, con forti resistenze al cambiamento e processi di approvazione poco fluidi. In molte imprese, inoltre, manca ancora un vero event manager interno – presente solo nell’11% del campione - con conseguenti sovrapposizioni di ruoli tra figure professionali diverse. Dìverso è il discorso per il processo decisionale relativo agli eventi, che nell’82% delle imprese è competenza esclusiva del top management.
Tra le priorità strategiche, il contenimento dei costi si conferma imprescindibile: per il 19% dei rispondenti viene addirittura prima del coinvolgimento attivo dei partecipanti all’evento. Si fa sempre più forte la necessità di individuare nuovi criteri per misurare l’effettivo business value dei meeting e di elaborare nuovi format per veicolare i contenuti. La ricerca sottolinea anche il bisogno di rilanciare il dialogo e il confronto con fornitori e agenzie, a cui il 34% delle imprese richiede un approccio consulenziale sempre più tailor-made. Fra i trend che caratterizzeranno l’immediato futuro, spiccano il tema della sostenibilità - ritenuto assolutamente strategico dal 35% del campione - e l’importanza di un ritorno ai meeting “face to face” (26%), oltre, ovviamente, all’impiego della tecnologia e dei social media (30%).
L’indagine è stata condotta attraverso un questionario online veicolato tra settembre e ottobre 2013 a un campione di professionisti appartenenti a oltre 500 aziende italiane di medie e grandi dimensioni, con focus sulle figure coinvolte nel planning e nel project management degli eventi, sia b2b che b2c: responsabili vendite, direttori marketing, corporate event manager, assistenti di direzione e, talvolta, lo stesso top management, a seconda delle dimensioni dell’azienda, della tipologia e del numero di eventi organizzati annualmente.
Qual è la tipologia di eventi a cui le imprese fanno maggiormente ricorso? La voce più cospicua riguarda gli eventi corporate(meeting interni, convention, celebrazioni, kick-off), che comprendono il 42% del totale. A seguire gli eventi b2b, composti sia da eventi aggregativi con finalità relazionali, quali congressi e meeting con partner e forza vendite (22%), sia da incentive (10%).Nel restante 26% rientra il variegato mondo gli eventi b2c: roadshow (11%), eventi sociali (8%) e lanci di prodotto (7%).
Un altro parametro è relativo al numero medio di eventi organizzato in un anno dalle singole aziende. Circa metà del campione della survey (43%) si attesta tra 1 e 5 eventi/anno; il 26% tra 5 e 10 eventi/anno, mentre il restante 30% è composto da aziende che hanno negli eventi una voce importante del loro core business (oltre 10 eventi/anno).
A seconda del diverso peso che gli eventi assumono nella strategia aziendale, ogni impresa fa quasi storia a sé per ciò che riguarda la scelta delle figure coinvolte nella pianificazione, gestione e realizzazione di un evento, che spaziano così dai responsabili marketing (20%) e comunicazione (18%) agli assistenti di direzione (19%), dalle risorse umane (10%) agli uffici acquisti (8%), arrivando in alcuni casi a includere lo stesso top management (direttore generale 8%, CEO 5%). Solo l’11% delle aziende intervistate ha al suo interno un vero corporate meeting planner dedicato.
Questo panorama così disomogeneo apre una seria riflessione sul tema della specializzazione professionale richiesta dal meeting management. La presenza di un planner di ruolo, che dovrebbe essere il principale punto di riferimento del workflow, risulta invece sporadica e limitata ai contesti più strutturati, dovuta più a necessità organizzative che a una vera e propria consapevolezza delle skill professionali necessarie per pianificare nel modo migliore un evento e interfacciarsi con stakeholder, fornitori e agenzie.
Se la gestione degli eventi risulta quanto mai diversificata, il decision making, al contrario, appare decisamente omogeneo:nell’82% delle aziende è il top management (DG, CEO, presidente) ad avallare tutto il lavoro progettuale relativo agli eventi, soprattutto per quelli più istituzionali. Il processo progettuale e quello decisionale spesso non collimano e le scelte attuative rimangono per lo più in capo a figure dirigenziali che non sono state direttamente coinvolte nella regia dell’evento: una situazione che può generare problematicità legate a una diversa percezione del lavoro svolto, degli obiettivi dell’evento e delle sue caratteristiche di efficacia.
Alla domanda su quali siano le problematiche interne più frequenti, il 41% ha dato una risposta pressoché scontata: la difficoltà di coniugare la qualità dei risultati con budget sempre più ristretti. La vera notizia è però la rilevazione di una serie di ulteriori criticità interne quali, appunto, la sovrapposizione di ruoli e funzioni aziendali (13%), la lentezza dei processi di approvazione (10%) e la mancanza di formazione specifica e di cultura professionale sulla gestione degli eventi aziendali (10%), che confermano quanto già detto a proposito della disomogeneità delle figure preposte al coordinamento dei meeting e alla mancata corrispondenza tra chi progetta e chi decide.
Tra le difficoltà incontrate al di fuori dell’azienda spiccano soprattutto la scarsa conoscenza degli standard internazionali (33%) e le difficoltà nel rapporto con i fornitori, ritenuti talvolta troppo lenti (24%), troppo poco flessibili (15%), poco disponibili al dialogo (12%) e, talvolta, addirittura inadeguati (6%) nell’offrire servizi realmente tailor-made.
Non c’è niente di meglio di un buon brief per assicurare la buona riuscita di un evento: per il 31% degli intervistati è questa la chiave di tutto. Altre voci importanti, in subordine, risultano essere il coinvolgimento del top management nella definizione degli obiettivi (19%) e la condivisione interna (17%) per portare a bordo del progetto tutti gli attori che sono necessari al suo buon esito. Il 12% ha indicato anche l’importanza di condurre un’efficace analisi di rischio sugli eventi precedenti, così da migliorare la performance e trarre quante più indicazioni possibili dalle esperienze pregresse.
Se è ovvio che oltre il 60% dei professionisti intervistati veda nei budget limitati (43%) e nella crisi (22%) i principali avversari affrontati negli ultimi anni, un ragguardevole 26% dà una risposta decisamente meno scontata, individuando in una cultura aziendale tradizionalista e diffidente verso i cambiamenti il vero nemico contro cui deve confrontarsi ogni giorno. I due aspetti sono d’altra parte collegati: la necessità di promuovere una comunicazione creativa, efficace e mai banale o ripetitiva porta i meeting planner a scontrarsi fatalmente con la tendenza all’immobilismo e alla “sindrome da coprifuoco” aziendale, che in contesti dominati dall’incertezza si fa ancora più acuta.
La prima voce sulla checklist delle imprese è, ovviamente, il raggiungimento degli obiettivi di comunicazione prefissati (26%). La seconda è la riduzione dei costi e l’aumento dei saving (19%) e solo al terzo posto troviamo il coinvolgimento dei partecipanti (17%). Le esigenze di budget continuano quindi ad avere la meglio su quelle del meeting design, che vede, al contrario, nell’esperienza del partecipante il centro di gravità. Altre scelte strategiche riguardano l’ottimizzazione logistica (12%) e il miglioramento del ROI (12%).
Quali sono le due esigenze prioritarie nella pianificazione di un evento? Il 26% ha indicato la necessità di elaborare format e contenuti più innovativi, confermando così la centralità delle risorse creative nella communication by events. La seconda opzione (24%) è risultata la capacità di fissare obiettivi SMART (Specific, Measurable, Achievable, Realistic, Time-related), ovvero fissare con la massima chiarezza possibile i risultati che ci si propone di ottenere e i criteri con cui misurarli. Terza classificata, col 14%, la necessità di dimostrare il Business Value of Meetings, un indicatore che valuta l’esito dell’evento in termini di formazione effettiva, content retention ed efficacia comunicativa. Si registra, insomma, una crescente attenzione al reporting e alla dimostrazione dei risultati concreti ottenuti tramite l’evento, così da giustificare l’utilità dell’investimento e valutare la performance ottenuta.
Tra gli attori principali all’esterno dell’azienda, le agenzie di eventi rivestono un ruolo di indiscutibile importanza. La survey mette tuttavia in luce una certa soggettività nei criteri con cui tali partner vengono selezionati: professionalità (33%), affidabilità (23%), creatività e idee innovative (18%) hanno la priorità su temi quali costo (8%) e rispetto degli standard internazionali (3%). La scarsa rilevanza attribuita al fee dell’agenzia si spiega con il fatto che la valutazione della qualità di un’agenzia di eventi non può che basarsi su valori intangibili quali appunto la “professionalità”. Alla domanda sugli sviluppi futuri del ruolo delle agenzie, il 34% degli intervistati ritiene che queste avranno un ruolo sempre più attivo nella comunicazione, unitamente a una maggiore capacità di coordinare e gestire il workflow (31%) e di contribuire a definire gli obiettivi SMART (25%).
Il panorama si presenta ancora una volta animato da tendenze contrastanti. Quasi il 60% degli intervistati ha dichiarato di aver fatto un uso limitato di strumenti quali video conference, streaming, app e social network. Il 22% ha indicato nella tecnologia un importante fronte di sviluppo. Tuttavia, al di là dei buoni propositi, sembra ci sia ancora molto da fare: sono, infatti, ancora pochi gli strumenti informatizzati per gestire il calendario eventi (34%), il budget management (22%), il reporting (16%) o l’integrazione con il CRM (9%). App e mobile, infine, sembrano presenti solo nel 5% delle aziende-campione. E, d’altro canto, dando uno sguardo ai principali trend del MICE internazionale, quello giudicato più strategico dagli intervistati è proprio l’impiego della tecnologia per favorire l’interazione dei partecipanti (30%). C’è la percezione diffusa di un’evoluzione ormai ineludibile, a fronte di una sperimentazione effettiva ancora piuttosto limitata e circoscritta.
Tra gli altri trend internazionali su cui gli intervistati sono stati invitati a esprimere un giudizio figurano anche il tema della sostenibilità - ritenuto assolutamente strategico dal 35% del campione - e l’importanza di un ritorno ai meeting “face to face” (26%). La compresenza dei partecipanti in un comune ambiente di lavoro e di soggiorno si conferma la prima e più importante condizione di efficacia della communication by events, un quid insostituibile che favorisce la condivisione di idee, valori, visioni e messaggi.
La sostenibilità ambientale della filiera degli eventi sembra ormai largamente accettata come conditio sine qua non; rimane l’esigenza di fare chiarezza sui metodi e sulle strade da percorrere. Per il 33% degli intervistati, la sostenibilità degli eventi è legata anzitutto all’impiego di materiali eco-compatibili, per il 25% alla mobilità sostenibile, mentre è ancora bassa la percentuale relativa al calcolo e alla compensazione delle emissioni di CO2 generate dall’evento (13%)
I risultati integrali della ricerca “Il mondo corporate: sfide, tendenze, linguaggi, aspettative nella gestione degli eventi e dei congressi” sono disponibili sul sito www.cisalpinatours.it nella sezione Cisalpina Research.
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